Fonte della Noce
Io, quando posso, passo sempre di qui. Pure se è più faticoso. Non so esattamente perché, ma è così. Mi piace passarci soprattutto la sera e soprattutto quando c’è vento e la voce dell’acqua, da mormorio, diventa echi di parole rotte e lontane che è come se lì, solo in quel preciso istante e per quel solo istante, si ricomponessero in un senso compiuto attraversando spazio e tempo. Io, qui, quando ero la bambina buffa che ritrovo nelle foto in bianco e nero ci venivo con mia nonna Caterina. E mia nonna ci veniva a sciacquare i panni. «Andiamo alla Fonte», mi diceva senza prendermi per mano visto che le teneva tutte e due occupate, ma non c’era problema perché io le camminavo di fianco, tenendo il suo passo come fanno certi cagnolini che ti volti a guardare per strada per quanto sono diligenti.
La Fonte è un posto bellissimo ma certe volte d’estate mi è capitato di fermarmi lì davanti, da sola, di sera e mi ha reso inquieta. Io alla Fonte ci penso spesso, ci penso soprattutto quando casa carico la lavatrice per il cambio settimanale di lenzuola, asciugamani, strofinacci. Capita che certe volte fisso il vortice impazzito dell’oblò della lavatrice, con dentro i panni che girano e girano e girano. A volte mi capita pure di sbagliare lavaggio. Succede, alla mia età. Finisce che mi confondo, mi ipnotizza quel turbinio compresso dei panni e così penso alla Fonte.
«Vedi, nannò, qui tanto tempo fa, ma proprio tanto, ci si venne a fermare pure la regina Giovanna che passava in mezzo alle sue terre, con tutto il seguito su un baldacchino - mi raccontava mia nonna - Per la regina, qui, ci aggiustarono pure un banchetto con ogni ben di dio, c’erano quelli che suonavano e quelli che cantavano e la Regina se ne tornò a casa sua con Teramo dentro al cuore. Pensa che per farla innamorare di questo posto, lesti lesti, organizzarono due fontane: dalla Fonte usciva l’acqua, da un’altra fonte finta usciva vino rosso, un tino dentro all’altro e giù una cascatella del colore delle amarene. Una cosa che non ci si crede. Tu mo statt zitt e senti che l’acqua porta indietro le voci e le risate di quella gente là. Quest’acqua fa miracoli. Lo sai come si dice a Teramo quando arriva un forestiero e poi non se ne va pioù? Ha bbevute l’acque de la fundane de la Noce, questo è il miracolo ». L’acqua scorreva e le braccia di mia nonna ripetevano quel gesto nel lavare i panni che era lo stesso che faceva quando ammassava la pasta sulla spianatoia, a casa: un gesto dei polsi.
Adesso qui alla Fonte ci si viene per bellezza, d’estate ci mettono i quadri in mostra, io non sempre li capisco e capisco l’arte ma la gente che viene a vederli è vestita bene e si capisce che è istruita. Però non era così, una volta. Tra una guerra e poi quell’altra, la Fonte dava l’acqua a tutti i teramani che abitavano la parte a nord della città perché allora mica ci stava ancora l’Acquedotto dell’acqua de lu Ruzzo e così dentro le case l’acqua come ci doveva arrivare? Per questo alla Fonte ci si andava a lavare i panni ma era pure un abbeveratoio per le bestie, per i cavalli e pure per i muli quando giravano ancora le carrozze. Insomma, era un posto importante. Mia nonna diceva che la Fonte prendeva il nome dagli alberi di noce che stavano lì intorno e che facevano ombra e d’estate alleggerivano la cappa dell’afa. Era una magnificenza. Quando invece voleva spaventarmi, perché tenevo il muso o ero stanca e me ne sarei voluta tornare a casa, allora mi raccontava pure che lì, a quella Fonte, ci si fermavano le streghe due volte l’anno quando andavano al noce di Benevento.
Chi le aveva viste, mi diceva, avevano raccontato che erano certe brutte vecchie tutte pelle e ossa, con gli occhi che parevano quelli delle civette, che ridevano come il verso stridulo di qualche animale notturno, e tutte erano lì perché volevano ubriacarsi della luce della luna. Ogni mese mia nonna faceva il bucato piccolo ma quando poi la neve si scioglieva, a primavera, allora era una bellezza perché l’acqua era tanta e si lavava tutto il bucato, quello grande dell’inverno. Oggi non ce lo ricordiamo neppure quanto siamo fortunati che fai zac, premi un bottone, parte la lavatrice e i panni girano e girano e girano. E abbiamo l’acqua in casa. Apri il rubinetto e quella scende. La vuoi calda, allora è calda. La vuoi fredda, allora è fredda. Il cerchio rosso e il cerchio blu li vedi sul rubinetto non ti puoi sbagliare.
Mia nonna portava un cesto sopra la testa con dentro i panni da lavare e aveva le mani sempre arrossate e screpolate per colpa dell’acqua quando era gelata. Pure le braccia le aveva indolenzite per tutto quello sbattere i panni sulla pietra del lavatoio, quello sciacquare e risciacquare e quanto pesavano lenzuola e asciugamani zuppi d’acqua non si può raccontare. Sollevare, strizzare e poi riportarli a casa per farli asciugare stesi al sole. Così era. Al posto del sapone, per lavare usava la cenere del camino ma prima la faceva bollire e alla fine i panni, una volta asciutti, erano bianchi, bianchissimi come e più della neve che si era sciolta. Usava pure una specie di sapone fatto con lo strutto e dentro qualche foglia di allora o un fiore di lavanda per ingentilirlo ma, a me, quel colore giallastro faceva impressione così preferivo guardare la pietra muschiata di quella grande tazza che brillava alla luce del sole, con la magìa dei riflessi.
Tutto intorno mani, mani e ancora mani. E poi il rumore e il movimento dell’acqua della Fonte. Ma non è un ricordo pesante e fatto solo di fatica perché c’era pure l’allegria delle donne che, quando devono portare avanti un peso, cercano di farlo come meglio possono. Così mi ricordo anche che, mentre lavavano, si raccontavano cose a mezza voce che non capivo, piccoli segreti, e intimità domestiche, consigli dati e ricevuti, la felicità e le disgrazie che gli capitavano e certe volte cantavano pure. Per questo io mi arrabbio, certe volte, quando vedo che, adesso, a casa fanno la lavatrice soltanto per quattro panni messi in croce, due calzini sporchi e quattro federe, ma che ne sanno loro di quanta corrente e di quanta bella acqua sprecano a fare così invece di riempirla, la lavatrice? Io, se potessi, chi fa così lo riporterei con mia nonna là, alla Fonte, a quei tempi. Per vedere e capire come funzionano le cose. E da dove arriva la vita comoda che viviamo oggi.